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Ospite all’interclub Rotary il giornalista, inviato di guerra e scrittore Toni Capuozzo

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Ospite al Rotary Club Valsesia, riunito in Interclub con il Rotary Club Vallemosso, con il Rotary Club Novara e con l’Inner Wheel Valsesia, il giornalista, inviato di guerra, scrittore Toni Capuozzo, laureato in sociologia all’università di Trento, inizia l’attività di giornalista nel 1979, lavorando a Lotta Continua, per la quale segue l’America Latina, diviene professionista nel 1983, scrive per Reporter, Panorama Mese, Epoca, si occupa di mafia per il programma Mixer di Giovanni Minoli, lavora per alcune testate giornalistiche del gruppo editoriale Mediaset (TG4, TG5, Studio Aperto), seguendo in particolare le guerre nell’ex Jugoslavia, i conflitti in Somalia, in Medio Oriente e in Afghanistan e l’Unione Sovietica, è inviato di guerra per la trasmissione L’istruttoria, dal 2000 ha curato e condotto con Sandro Provvisionato: “Terra!”, il settimanale del TG5. E’ stato vice-direttore del TG5 fino al 2013, nonché editorialista de Il Foglio. Ha tenuto su Tgcom24, la rubrica: Mezzi Toni. Ha curato per anni l’editoriale in ultima pagina della rivista del Touring Club Italiano. Nel 1986 ha pubblicato da Feltrinelli Il giorno dopo la guerra, seguito nel 2007 da “Adios” (Mondadori) e Occhiaie di riguardo, una raccolta di articoli scritti per il quotidiano Il Foglio (Piemme)l Le guerre spiegate ai ragazzi – Mondadori, 2012, Il segreto dei marò, Mursia 2015, Andare per i luoghi del ’68, Il Mulino 2018, La culla del terrore. L’odio in nome di Allah diventa Stato, disegni di Armando Miron Polacco, Signs Books, Storie che segnano, 2019, che da Lorenzo Del Boca è stato donato autografato alla Biblioteca di Varallo.Nel 2009 Capuozzo ha messo in scena, con Mauro Corona e il complesso musicale di Luigi Maieron, “Tre uomini di parola”, uno spettacolo i cui proventi finanziano la costruzione di una casa-alloggio per il centro grandi ustionati di Herat (Afghanistan). Nella stagione 2009-2010 è stato direttore artistico del «Festival del Reportage» di Atri (Abruzzo). Nel 2011, con Vanni De Lucia, ha messo in scena “Pateme tene cient’anni”, una storia di padri e di patrie.

Vincitore di molti premi giornalistici, tra i quali ricordiamo nel 1999 il Premio Saint Vincent (Considerato il Pulitzer italiano) per il servizio Il dramma delle foibe, nel 2000 il Premio Flaiano, nel 2006 il Telegatto, l’Ambrogino d’oro, il Premio Obiettivo Europa, il Premio giornalistico “Città di Salerno”, il Premio Agape, e la nomina a Giornalista dell’anno ANA , Capuozzo negli ultimi anni ha ricevuto innumerevoli premi alla carriera.

Lorenzo Del Boca, Presidente del Rotary Club Valsesia, già Presidente dell’Ordine dei Giornalisti, è stato sempre un “Amico” per Toni Capuozzo, che l’ha definito: “Un grande Presidente per visione del mondo, libertà intellettuale, semplicità, immediatezza comunicativa, fortemente libero da ogni tipo di condizionamento” ed è venuto all’appuntamento in Valsesia, nonostante fosse stato dimesso dall’ospedale da soli due giorni, affrontando il tema che gli era stato proposto: parlare della situazione nei Balcani. Tra tutte le guerre che ha seguito per lavoro, dall’ ex Jugoslavia all’ Afghanistan, quello che gli ha lasciato il ricordo più doloroso è stato proprio il conflitto dei Balcani: “La guerra più vicina a noi, nel cuore dell’Europa. Quando una guerra è lontana pensi che noi siamo riparati, protetti. Da noi queste cose non si fanno. Invece sì: assedi, stupri, pulizia etnica. L’ assedio di Sarajevo è durato quattro anni”. Capuozzo ha due figlie naturali ed un “mezzo” figlio, un bambino orfano di madre e senza una gamba da quando aveva tre mesi a causa dello scoppio di una bomba, che aveva portato via da Sarajevo durante la guerra, quando aveva sette mesi e che ha cresciuto, almeno fino all’età di cinque anni, dandogli tutto ciò che poteva: Kémal oggi è un ragazzo, vive in Bosnia, combatte contro un tumore, e Toni Capuozzo gli è sempre accanto.

“La Jugo, come veniva familiarmente chiamata dai triestini, era il vicino di casa, il luogo dove si andava a fare benzina, perché costava meno, si comprava carne più a buon prezzo. Mentre ero in Salvador morì Tito e mi fu chiesto di fare un editoriale di prima pagina per un giornale di lingua spagnola, lo conclusi come fecero centinaia di altri giornalisti in tutto il mondo: Ci sarà ancora una Jugoslavia adesso che Tito non c’è più? pensando proprio a quel mosaico di culture, religioni, nazionalità. Tutto deflagrò e presi coscienza che quanto stava accadendo avrebbe potuto accadere al mio paese, ripensai a mia madre triestina e a mio padre napoletano, che avevano percezioni delle cose all’opposto e spesso mi lanciavano segnali contraddittori, ripensai alle malattie del benessere: anoressia, suicidi, figlie del più e del troppo e al nostro tempo in cui tutto può cambiare da un momento all’altro, lo stesso political correct è terribilmente ingannevole, si cavalcano i diritti dimenticando i doveri, predichiamo contro il razzismo senza rimuovere le cause che portano al razzismo, dimentichiamo che nessuno è vaccinato contro l’odio per il diverso”: dopo questa introduzione di Toni Capuozzo, è stato proiettato uno dei suoi rèportages di Terra!, quello che riguardava l’assedio di Sarajevo, con lo scambio dei prigionieri, lo zoo di Sarajevo con le gabbie dolorosamente vuote dopo la morte dell’ultimo orso, che si chiamava, non a caso, Silenzioso. “Quella guerra sotto casa era difficile da capire: vedevo i profughi partire da Sarajevo, provavo fame, freddo, il disagio per l’acqua che mancava, la difficoltà di ricaricare le batterie. Non sono mai più entrato all’Holiday Inn, l’albergo dei giornalisti, troppi ricordi, mancava tutto, ma non venne mai meno il pane e il giornale quotidiano, o le sigarette. Ricordo il giorno peggiore di Sarajevo: il 5 febbraio 1994, la strage del Mercato, sessantotto vittime, l’ospedale che quel giorno sembrava un girone infernale, lamenti, imprecazioni ovunque. Dopo l’accordo di pace rivedo una famiglia serba che lasciava Sarajevo portando con sé il cadavere disseppellito del figlio, caduto anni prima: uno dei settecento caduti da riesumare”. Capuozzo ha ricordato che a Sarajevo morirono millecinquecento bambini in quattro anni: la città non sarebbe mai più stata quella di prima. Quella che concluse il lunghissimo assedio non fu la pace sognata, non era finito il decennio dei Balcani: “La guerra si spostò in Kossovo e le vittime si somigliavano tutte, come l’impotenza del lavoro di noi giornalisti. Per avere davvero un’Europa unita, forte e generosa, ci vogliono i soldi e bisogna capire la convenienza della pace. La guerra scava solchi destinati a durare a lungo, rivedendo oggi quelle immagini mi vergogno, trovo sia stato indiscreto e volgare scavare in mezzo a quel dolore, quasi una pornografia dei sentimenti, però forse serviva a far capire al resto del mondo la brutalità di ciò che stava succedendo”.

Toni Capuozzo con il suo modo “diretto” di fare giornalismo, di trattare temi scottanti, il suo accento friulano, le sue borse sotto gli occhi, è un giornalista unico: la serata si è conclusa nel silenzio e, parafrasando la conclusione dell’ultimo racconto di: “Il giorno dopo la guerra”: “Nessuno è più lo stesso…c’è un odore di sonno e di mandarini, nella prima corriera, traballante mentre si infila nel dopoguerra”.

 

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