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Decreto sicurezza e immigrazione: davvero più sicuri?

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Venerdì 1 febbraio, a Borgosesia, al Centro Studi Turcotti, è stata organizzato un incontro, con l’avvocato dell’ASGI (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione) Alberto Guariso di Milano, dal titolo «Decreto sicurezza e immigrazione: davvero più sicuri?».
Il relatore è stato presentato da Elena Orsolano come «esperto in tema di diritti, sia nell’ambito del lavoro, che in quello riguardante le discriminazioni».
La serata è stata organizzata dalle associazioni Cireseui, Eufemia, FAST, Centro Studi Turcotti, dalla Caritas Borgosesia e dalla Caritas Varallo, che, insieme alla Parrocchia di Borgosesia, hanno attivato, grazie al Bando 8×1000 della Chiesa Cattolica, uno Sportello delle Fragilità e Nuove Domande, FReND, presentato dalla Coordinatrice del progetto, Maria Rosa Pantè. Da un’analisi sul territorio era emersa l’esigenza di creare un punto di riferimento per persone che vivono un disagio socio-economico o familiare, giovani e adulti in cerca di un lavoro e/o di opportunità formative, immigrati alle prese con difficoltà diverse, comprese quelle di espletare pratiche burocratiche complesse, anziani soli e familiari che li sostengono. L’obiettivo era proprio quello di «fare rete», mettendo in relazione le associazioni e le persone che sul territorio si occupano di fragilità e non solo dei migranti, per non sprecare energie preziose, duplicando procedimenti o esperienze, e sfruttando tutte le risorse disponibili: «Lo Sportello FReND sarà un crocevia di informazioni».
Lo Sportello, finanziato dalla Diocesi di Novara, che sarà collocato al primo piano del Centro Sociale di via Giordano, partirà il 14 febbraio e inizialmente sarà aperto due giorni la settimana: martedì dalle 10 alle 12 e giovedì dalle 15,30 alle 17,30.
Per ulteriori informazioni telefonare al 370 3419071 o inviare una mail a: sportellofrend@gmail.com
Dopo l’accoglienza di Marinella Mazzone, presidente del Centro Studi Turcotti, don Ezio Caretti, parroco di Borgosesia, ha portato il saluto a nome della Caritas e di tutti i gruppi che hanno contribuito alla nascita del nuovo sportello FReND: «Un’occasione per stringere legami di solidarietà e dare sicurezza alle persone, al di là di qualsiasi idea del cuore e della mente, ricordando sempre che le idee del cuore passano attraverso la parola amore, inteso come capacità di relazionarsi in modo che la vita venga promossa e non contrapposta».
Il salone era gremito di persone provenienti dalla Valsesia e dalla Valsessera, operatori e persone coinvolte nelle associazioni di volontariato, ma anche molte persone sensibili al tema trattato, che volevano capire come, e in che misura, il Decreto sicurezza e immigrazione, da poco varato dal Governo, avesse modificato la situazione dell’accoglienza, o non accoglienza, dei migranti.
L’avvocato Alberto Guariso, come premessa al suo intervento, che ha esaminato punto per punto il Decreto, ha spiegato che, prima di tutto, occorre cambiare la percezione dell’immigrazione sulla base di dati oggettivi: «I migranti in Italia sono 5.200.000, invariati da 4-5 anni, pari all’8% della popolazione nazionale, percentuale uguale al resto d’Europa. Di questi cinque milioni il 65% ha un “progetto stabile di vita qui”. Se per patria intendiamo il legame tra persone che condividono legami di solidarietà su un dato territorio, allora dobbiamo proprio uscire dall’angoscia dell’emergenza e questa esperienza del nuovo sportello FReND va proprio in questa direzione perché contribuisce a conoscere l’immigrazione e a cambiare il nostro modo di percepirla. Invece il Decreto ora legge non ci aiuta in questo senso: primo perché accomuna immigrazione e sicurezza, quasi fossero un’endiadi».
Il Decreto Sicurezza e Immigrazione mercoledì 28 novembre 2018 è stato convertito nella Legge 132/2018. Il provvedimento, voluto dal ministro dell’Interno Matteo Salvini, è stato approvato in via definitiva: secondo i critici, aumenta molto il numero di stranieri irregolari in Italia e restringe le possibilità di accoglienza degli stranieri, oltre a introdurre una serie di nuove norme sulla sicurezza. Il Decreto mette insieme quelli che inizialmente dovevano essere due testi separati: il Decreto sicurezza e il Decreto immigrazione, riunificati in un unico decreto, così da renderne più agevole l’approvazione e la conversione in legge, ma creando anche una pericolosa ambiguità con l’accostamento dei due termini.
Il Decreto si occupa anche di introdurre una serie di nuove norme in materia di sicurezza per aumentare i poteri a Sindaci, Prefetti e Questori in materia di decoro urbano e tutela dell’ordine pubblico, ma la parte che ha suscitato maggiori discussioni è quella sull’immigrazione, che è anche la più corposa.
L’elenco di disposizioni sull’immigrazione è molto lungo, ma le norme vanno tutte più o meno nello stesso senso: rendere più difficile ai richiedenti asilo restare in Italia, più facile togliere loro lo status di protezione internazionale, in particolare se hanno commesso reati e infine risparmiare sulla gestione della loro presenza in Italia.
Il punto principale del Decreto è la cancellazione dei permessi di soggiorno umanitari, una delle tre forme di protezione che potevano essere accordate ai richiedenti asilo (insieme all’asilo politico vero e proprio e alla protezione sussidiaria). La protezione umanitaria, come veniva spesso chiamata, durava per due anni e dava accesso al lavoro, alle prestazioni sociali e all’edilizia popolare. Al suo posto il Decreto introduce una serie di permessi speciali (per protezione sociale, per ragioni di salute, per calamità naturale nel Paese d’origine) della durata massima di un anno. Il Decreto aumenta il tempo massimo nel quale gli stranieri possono essere «trattenuti» nei Centri di permanenza per il rimpatrio (CPR) da 90 a 180 giorni. Per effettuare più rapidamente i rimpatri, il Decreto stabilisce anche un moderato incremento di fondi: 3,5 milioni di euro in tre anni. Calcolando che un rimpatrio costa, a seconda delle stime, tra i 4 e i 10 mila euro in media, significa che queste risorse aggiuntive permetteranno al massimo di effettuare 875 rimpatri in più nell’arco di tre anni. Viene poi allungata la lista dei reati che comportano il ritiro della protezione internazionale (come per esempio omicidio o gravi reati di droga) che dall’approvazione del Decreto è passata a includere anche minaccia o violenza a pubblico ufficiale, lesioni personali gravi e gravissime, pratiche di mutilazione dei genitali femminili, furto aggravato, furto in abitazione e furto con strappo. Inoltre, lo status di protezione internazionale viene ritirato se il rifugiato ritorna, anche temporaneamente, nel suo paese d’origine. Un’altra parte molto criticata del Decreto è quella che depotenzia il sistema Sprar, Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, l’accoglienza diffusa (come spesso viene chiamata), gestita dai Comuni, che serve a fornire ai richiedenti asilo corsi di lingue e altri percorsi di integrazione. Il sistema sarà limitato a coloro che hanno visto accogliere la loro domanda di protezione internazionale: non potranno più invece prendervi parte coloro che sono ancora richiedenti. Viene infine introdotta la possibilità di revocare la cittadinanza italiana per le persone che sono ritenute un pericolo per lo Stato. La Corte Costituzionale, però, considera la cittadinanza tra i diritti inviolabili e questa disposizione rischia di essere considerata incostituzionale.
L’eliminazione della protezione umanitaria, che fino a oggi era stata assegnata a circa metà dei richiedenti asilo che hanno visto accogliere positivamente la propria domanda, è una delle criticità evidenziata dal relatore: «Esiste l’elevato rischio che il Decreto moltiplichi il numero di stranieri che si trovano in maniera irregolare nel nostro Paese e che quindi non possono avere un lavoro regolare, o ricevere prestazioni sociali e che per questo sono incentivati a dedicarsi a attività illegali».
Nel dibattito successivo all’intervento è emerso come le cooperative che si occupano di migranti spesso non utilizzino i soldi loro erogati per «far crescere» questi ragazzi: «Danno loro settantacinque euro al mese e non hanno diritto a nulla». La riduzione dei finanziamenti, che passano da trentacinque a venti euro al giorno per migrante, privilegia le grandi strutture con economia di scala, senza proporre alcun percorso di integrazione.
Guariso ha sottolineato che occorre ripartire e chiedersi: «Cos’è il migrante per noi?», ricordando che a fronte di cinque milioni di migranti ci sono cinque milioni di italiani residenti all’estero. Occorre ripristinare canali regolari di ingresso. Oggi purtroppo si respira un «clima cattivo, distruttivo rispetto a quello che viene considerato solo un problema, un clima strumentale alle elezioni europee che si terranno a maggio».
Nel dibattito ci sono stati molti interventi: Guariso nelle sue risposte ha cercato di infondere un po’ di ottimismo, ricordando che è opportuno cercare un «minimo comun denominatore etico».
Don Giorgio Borroni, direttore della Caritas Diocesana, è intervenuto al termine della serata dicendo che l’unica cosa che proprio non si deve fare oggi è stare zitti: «Questo decreto mi ha tolto un po’ della mia fortuna di essere cresciuto in uno stato democratico. Come prete e come credente sono cresciuto in un contesto che mi ha educato alla fraternità, e all’idea che democrazia sia il tentativo da parte di uno Stato di includere tutte le persone, mentre questo è un Decreto che provoca esclusione sociale. Ora la cosa da fare è quella di abbassare i toni, non dire menzogne, ritrovando la dimensione della fraternità».
Al termine a tutti è stato offerto un rinfresco, come momento conviviale per parlare in modo informale e soprattutto per «conoscersi», dare un volto alle persone e non chiuderle in categorie riduttive, come quella dei «migranti».

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